A Bruxelles fino al 14 marzo i movimenti sociali europei e statunitensi si incontrano per capire come fermare il negoziato TTIP. E il quarto ciclo di negoziati ufficiali si è aperto scricchiolando
di Monica Di Sisto*
A Bruxelles si sono dati appuntamento dal 10 al 14 marzo oltre 200 esperti e attivisti europei e statunitensi per il primo Meeting strategico delle principali coalizioni delle due sponde dell’Atlantico contro il TTIP. Obiettivo della due giorni, organizzata da Fondazione Rosa Luxembourg, Seattle to Brussels network – rete di riferimento per noi di Fairwatch, che partecipiamo all’inconteo in questa veste – Citizen Trade campaign, Coalition of Sensitive Safeguards, ARC2020 e Forum Umwelt&Entiwicklung: sviluppare una strategia comune per fermare il Trattato di liberalizzazione di commercio e investimenti tra Usa e Ue, che affronta proprio in questi stessi giorni a Bruxelles il quarto ciclo di negoziati ufficiali. All’arrivo della delegazione del Governo Usa, però, dopo i primi scambi faccia a faccia con i colleghi Ue, la luna di miele dei primi scambi sembra decisamente tramontata. Impressione che imprime ai lavori delle organizzazioni sociali una spinta ancora più forte nel denunciare e far conoscere a un pubblico sempre più vasto i terribili impatti economici, sociali ed ambientali che questo ulteriore ciclo di liberalizzazioni comporterebbe. E che chiede, con ancora maggiore evidenza, alle forze politiche che si affacciano al rinnovo del Parlamento europeo, discontinuità con la narrativa trita e mortale del solito, vecchio liberismo che il TTIP ripropone.
Le trattative non vanno come sperato, tanto che il dubbio che sembra sempre più insinuarsi tra le delegazioni governative, pur se nel più stretto riserbo, è se non sia meglio far cadere il tanto discusso meccanismo di protezione degli investimenti previsto nel trattato (ISDS), piuttosto che far implodere l’intero negoziato. Sono passati oltre nove mese dal lancio in pompa magna delle trattative, e anche il Financial Times, in un articolo con cui presenta la settimana di lavori a Bruxelles, si dimostra scettico rispetto all’ipotesi che si arrivi davvero a varare un testo in cui venga riconosciuta agli investitori privati la facoltà di citare in giudizio quegli Stati da cui si ritenessero danneggiati nei propri interessi (presenti o futuri) a causa di iniziative legislative o normative.
L’imponente normativa francese anti-fracking, lo schieramento fermo dei gruppi consumeristi per il bando agli Ogm che paralizza le esportazioni dell’agrobusiness Usa sembrano così insormontabili, anche agli attenti osservatori economici d’Oltreoceano, da non permettere al TTIP un viatico tranquillo se oberato d’altri inciampi ingombranti come l’ISDS. Già il Commissario europeo al commercio De Gucht, annunciando di voler sospendere le trattative per lanciare una consultazione pubblica sul tema, aveva fatto capire la difficoltà della situazione. Essa pare già tanto complessa che gli esperti del think tank ultraliberista Cato Institute hanno suggerito, la scorsa settimana, con un proprio documento alle due parti di soprassedere sull’ISDS – declassato a “superfluo” se l’obiettivo vero del negoziato è la liberalizzazione commerciale – e di concentrarsi sull’introduzione di tutti gli strumenti necessari a livellare gli standard qualitativi e azzerara le barriere non tariffarie tra le due sponde dell’oceano. Troppe preoccupazioni e contrarietà hanno già suscitato gli oltre 400 casi giudiziari sollevati da imprese contro Stati tra il 2003 e il 2012 grazie a specifiche clausole contenute negli accordi commerciali bilaterali e multilaterali vigenti, ben 58 dei quali solo nel 2012.
Soprattutto da parte europea, però, questo risultato lo si vorrebbe cogliere a tutti i costi. Troppo ghiotto sarebbe per le imprese Usa e Ue piazzare un precedente come questo, da riproporre pari pari in tutti i negoziati bilaterali in corso e in vista, primi tra tutti quelli con l’India e la Cina e per gli Usa con i Paesi della costa pacifica. Obama avrebbe voluto, dal canto suo, superare la diffidenza del Congresso rispetto alla convenienza del TTIP per l’economia a stelle e strisce invocando una “corsia preferenziale” (fast track), che gli avrebbe consentito di gestire tutto senza passare da Washington, ma il partito Democratico gli si è opposto frontalmente. Anche l’aria che si respira a Bruxelles è quella elettorale, dunque poco incline ai conflitti palesi, soprattutto alla luce della crescente opposizione al trattato. Sarà interessante vedere, dunque, quali partiti continueranno a sostenere senza ripensamenti il TTIP dopo il 13 marzo prossimo, quando con una presenza organizzata di fronte alla DG Trade, reti e movimenti sociali presidieranno fisicamente il negoziato, per chiederne il blocco immediato. Il 14 è attesa la conferenza stampa congiunta delle delegazioni ufficiali Usa e Ue, da cui si capirà se le trattative avranno avanzato senza scosse, oppure se le pressioni e le mobilitazioni di questi primi mesi abbiano cominciato a rallentarne la pazza corsa.
*vicepresidente di Fairwatch